Come si insegna in questi casi, ogni Stato-nazione che sorge ha bisogno di costruire un'identità ed un'iconografia forte, in grado di livellare le eterogeneità presenti sul territorio. Nel caso dell'ex regione jugoslava, in particolare, si sta parlando di un contesto in cui si sono trovati a coesistere, in maniera più ravvicinata, due soggetti etnici difficilmente integrabili: slavi (64%) e albanesi (25%). La necessità di una forza centripeta, di un'identità "esclusiva", corrisponde a due bisogni: da una parte omogeneizzare ciò che sta al di qua dei confini appianando ove possibile il dualismo etnico, dall'altra differenziare l'esterno. Difatti sarebbe molto meno agevole la gestione centrale di uno stato in cui gran parte della popolazione occidentale condivida molte più affinità con la confinante Albania o la provincia autonoma del Kosovo.
Naturalmente questo bisogno di identità si risolse utilizzando e sfruttando appieno la regione geografica che già dava il nome alla regione meridionale jugoslava ante-indipendentia. Ma il costituirsi di un'entità politico amministrativa denominata "Repubblica di Macedonia" ha un impatto decisamente diverso rispetto a quello di un'entità territoriale di decentramento amministrativo quale una regione, e non fa che scatenare il governo greco sulla famigerata "questione del nome". Il Vardar, così come era chiamata sulle cartine ottomane Skopje e dintorni, non occupa che poco più di un terzo della regione geografica Macedonia, che si estende per altro fino alla Bulgaria e all'Albania. Insomma, per Atene è come se da un giorno all'altro il "Land" di Innsbruck dichiarasse indipendenza al nome di "Repubblica di Tirolo" ignorando l'esistenza dell'analoga regione italiana facente capo a Bolzano (o peggio facendo aleggiare ipotesi di future rivendicazioni territoriali nei suoi confronti). E il paragone è oltretutto riduttivo, perchè Nordtirol e Sudtirol sono immensamente più affini di Grecia e FYROM, tant'è che l'Unione Europea stessa ha sancito ufficialmente il carattere transfrontaliero della regione, ora denominata macroregione "Eures-TransTirolia".
Ma questa è la soluzione che Skopje sceglie per darsi un'identità, quella più a portata di mano. Cui segue l'inesorabile percorso di identificazione culturale, una "politica della memoria" spesso indicata in geopolitichese col termine «presentismo»: la tendenza ad interpretare le configurazioni culturali del passato come alla luce della situazione attuale. Questo porta diritti al secondo problema: la determinazione di Skopje nel presentarsi come erede della cultura e della storia macedone. La questione del nome viene messa in stand-by dall'ONU nel 1993, che conviene nell'adottare "provvisoriamente" la sigla FYROM (Former ex-Yugoslav Republic Of Macedonia) di fronte alle obiezioni di Atene. La costruzione iconografica continua poi con la bandiera, in cui si decide di far perno su un altro importante simbolo del regno macedone di Filippo II: la vecchia stella di Verghina. Anche qui, pesanti reazioni del governo greco che chiuse completamente le frontiere imponendo sul piccolo stato ex-jugoslavo un embargo economico totale fino al 1995, anno in cui le mediazioni riuscirono ad ottenere la modifica della bandiera e la rinormalizzazione dei rapporti. Sempre in attesa di nuovi negoziati sulla questione del nome. Per i vicini, i problemi rappresentati dalla questione della "raison d'être storicizzata" di Skopje continueranno a persistere. Emblematico il tentativo, poi non tanto subliminale, di rivendicare l'eredità di Alessandro Magno, intitolando a lui il principale aeroporto del paese. Altrettanto emblematico apprendere, per esempio, di vini tradizionali venduti col nome di "Bukefal", una quasi-translitterazione di Boukephalos (βους bue, κεφαλή testa), il cavallo di battaglia di Alessandro il Grande. E via dicendo.
La questione macedone rimane di grande attualità anche per gli equilibri internazionali. Il nome che dovrà sostituire FYROM sulle cartine geografiche è di estrema rilevanza per le aspirazioni atlantiste ed europeiste di Skopje. La Grecia (diritto di veto già utilizzato al vertice Nato di Bucarest) sta discutendo sulla possibilità di trovare un accordo sul termine "Macedonia" a patto che esso sia affiancato da un aggettivo qualificativo. Tra le ipotesi ventilate: "Alta Macedonia", "Slavo-Macedonia", "Macedonia-Skopje", o la forse più probabile "Macedonia del Nord". Una localizzazione della sub-regione quest'ultima, in continuità e coerenza con la divisione amministrativo-regionale della Macedonia greca: Macedonia Occidentale (Kozani), Macedonia Centrale (Salonicco), Macedonia Orientale (Kavala).
Non c'è motivo per non pensare che il compromesso verrà trovato. Anche la Grecia ha i suoi interessi ad integrare a pieno titolo FYROM nelle principali organizzazioni internazionali, essendone il principale investitore e partner economico. Bisogna casomai chiedersi se il nome, da solo, è in grado di risolvere una questione di rivendicazione culturale feroce giunta a livelli quasi esasperanti. O se, «una situazione non chiarita adesso», come questa, «è passibile di dare adito a conseguenze pesanti in un futuro. Il caso del Kosovo è un esempio emblematico in tal senso», come fa notare Rudy Caparrini autore dell'articolo (Macedonia: le ragioni della Grecia) a cui rimando chi fosse interessato ad approfondire il punto di vista dell'oppositrice-Grecia nel processo identitario di Skopje. Perchè evidentemente non è affatto una questione di capricci.
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