Questa non vuole in nessun modo essere una presa di posizione alla Baudrillard: «La guerra del Golfo non è accaduta». Vuole bensì essere un forte richiamo all'attenzione, ed un invito alla ricerca di informazioni non reimpastate. Alexandros Grygoropoulos molto probabilmente non era un anarchico: i suoi compagni di scuola e di partite a basket giurano che lui non aveva grilli politici per la testa; al massimo professava idee "progressiste". Il fatto che siano state dirette quelle provocazioni ai poliziotti prima dell'omicidio, non significa necessariamente che il fatto vada collocato in un quadro di risentimento politico tra anarchici e forze dell'ordine. Negli stessi disordini scoppiati successivamente, il fronte degli anarchici è stato minoritario. Si stima che il loro numero sia compreso tra 200-250 ad Atene; ebbene, come può essere possibile pensare che nel giro di qualche giorno siano diventati più di un migliaio? Senza tralasciare il fatto che l'attivismo anarchico sia un fenomeno circoscritto principalmente alla sola Atene. Diventa trampolieristico giustificare gli episodi di alcune città come Patrasso e Heraklion (o persino nel paesino di Kerkyra a Corfù!). Per esclusione, è al contempo molto parziale far passare l'idea che i greci siano impazziti così, da un giorno all'altro.
L'autore di «Z, L'orgia del potere» (ora ambasciatore dell'Unesco), Vassilis Vassilikos, in un'intervista rilasciata ad Antonio Ferrari il 9 dicembre per il Corriere della Sera, ha ragionevolmente descritto una situazione di disagio sociale, che ha trovato nella morte di Alexandros il detonatore della sua frustrazione. Quel che è accaduto e sta accadendo, è sintomatico di una «rabbia compressa che tutti avvertivamo ma che non eravamo in grado di esprimere». All'interno di questo risentimento confluiscono molti elementi.
Presumibilmente primo tra tutti l'insofferenza di fronte all'arroganza della polizia; non è un caso che abbiano partecipato agli scontri molti degli stranieri irregolari presenti in Grecia, in più di un caso approffittando delle vetrine rotte per ripulire i negozi. Albanesi e mediorientali sono spesso stati al centro delle cronache per storie di abusi e violenze fisiche nelle caserme, non ultimo un video circolato in rete in cui due pubblici ufficiali costringono alcuni stranieri in stato di fermo a schiaffeggiarsi a vicenda, davanti alla loro telecamera accesa. Altri episodi hanno invece coinvolto i partecipanti di talune manifestazioni, gestite dalle forze dell'ordine con un polso troppo duro per non apparire intimidatorio. Questo «non dover dar conto a nessuno delle proprie azioni» è stato uno dei propellenti maggiori per lo scatenarsi degli scontri, senza dimenticare il potere evocativo che può avere in un paese che ha vissuto tra 1967 e 1974 una dura dittatura militare (culminata proprio con le barbarie del Politecnico).
Il secondo elemento di tensione riguarda invece la sfera politico-economica: corruzione e scandali sono frequenti come qui in Italia, con la differenza che la tv ne parla, l'opinione pubblica ha qualche strato di coscienza in più, e i responsabili invece di rimanere sulla poltrona si lanciano giù dal quarto piano (vedi Zachopoulos). Come ultimo scandalo, quello relativo alla "cessione di enormi terreni, boschi e proprietà pubbliche (fra cui un lago intero, quello di Vistonitida), sparse per tutta l'Ellade, al monastero di Vatopedi sul monte Athos, una specie di holding clericale; oltre 40mila metri quadrati di superficie nella sola (e lucrosa) area dell'ex villaggio olimpico". A questo si aggiunge "la prospettata riforma del sistema universitario, con la legalizzazione delle università private, e la paura del declassamento di fatto di quelle pubbliche".
Lo ribadisco, questa non vuole in nessun modo essere una presa di posizione alla Baudrillard! Certo, ci son state grandi manifestazioni di massa e scioperi generali aldilà dei danni ai negozi e alle macchine. Ed è gioco-forza del camera-man non riferirle, in favore di una ben più allettante "Apocalisse in diretta". Ma il punto è questo: forse non è poi così chiaro il motivo per cui bisognerebbe obbiettare la mancanza di un nesso tra situazione congiunturale e disordini scoppiati. E' bene prendere atto, con tutti i distinguo del caso, che certe cose non verranno mai ottenute con il "per favore": dare dei segni di vita concreti, di questi tempi, è qualcosa che vale molto. Un albero di Natale che brucia in p.za Syntagma, poi, è qualcosa che ha, devo ammetterlo, un fascino irresistibile. Di fronte, la via dello shopping, Odos Ermou. E' l'immagine perfetta di un mondo che finalmente può andarsene a rotoli, e liberarci per questa volta, eccezionalmente, della "pace terrificante" [De Andrè] in cui è piombato. E non con "una vibrante protesta", ma con un bel "cannone nel cortile".
Di questo, ci sarebbe bisogno, anche in Italia. Ma non si è in grado di indignarsi oltre un certo limite. Non qui, dove il camera-man ha un potere egemonico rispetto al giornalista, dove l'elaborazione individuale delle informazioni si basa semplicemente sul nulla. Chi vive sui telegiornali ha delle serie difficoltà ad apprendere qualsiasi cosa gli accada attorno. Basta guardare il piattume con cui viene accolto qualsiasi scandalo ci passi davanti, o le mobilitazioni studentesche già in fase di smantellamento. Ecco un riferimento che è in grado di cogliere il nocciolo della questione. L'allenatore dell'Inter Jose Mourinho qualche tempo fa disse, da uomo appena sbarcato in un contesto sociale a lui "nuovo" e certamente paradossale, che agli italiani interessa più lo spettacolo del calcio. Vero o non vero, è subito riuscito a cogliere il problema di quello impongono le tv, anche nel calcio. Ieri, per esempio, è parso difficile capire dove finisse il servizio su Beckham a San Siro, e dove iniziasse quello relativo alle highlights della partita. Sono da tempo convinto che questo sport, per gestione affaristica e partecipazione popolare, sia una delle sintesi più azzeccate che si possano fare riguardo alla società italiana. Da questo microcosmo si possono capire molte cose.
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