venerdì 30 settembre 2011

piazza tahrir, di nuovo


Proprio al termine della scorsa settimana faceva ritorno in Yemen Saleh, ricoverato e poi ospitato in Arabia Saudita nei giorni successivi all'attentato dello scorso giugno. E' l'immagine perfetta della restaurazione che prende forma, come in un incubo, nei paesi della cosiddetta «primavera araba». Almeno in quelli in cui si è riusciti, fosse anche parzialmente, a detronizzare qualcuno. In Siria, come è noto, il processo non è mai riuscito a raggiungere uno stadio diverso da quello in cui i manifestanti vengono duramente repressi. Cioè intendo neanche lo stadio in cui la polizia infiltra nei movimenti schiere di saccheggiatori e violenti. Così come del resto in Bahrain, che è stato addirittura invaso dall'«amica» Arabia Saudita per consentire alla famiglia reale al-Khalifa di rimanere al suo posto. A proposito: tredici dottori e infermieri del Salmaniya Medical Centre sono stati condannati proprio oggi a 15 anni di prigione; altre sette persone, sempre dello staff ospedaliero, hanno ricevuto condanne tra i cinque e i dieci anni di carcere. Per il semplice fatto di aver aver prestato soccorso ai manifestanti arrivati in ospedale nei giorni roventi della protesta sciita.

In Egitto Mubarak è stato effettivamente costretto ad alzare i tacchi. Ma esattamente come la materia, non si crea né si distrugge ma si trasforma, allo stesso modo i poteri che avevano concepito l'ex rais al potere negli ultimi trent'anni si stanno velocemente riadattando alle nuove circostanze e scenari. In modo da limitare la spinta al cambiamento e catalizzarla in senso favorevole. Per esempio, come si legge in questo bell'articolo di Alaska, «la legge elettorale studiata dall'esercito egiziano è profondamente inadeguata, ammette i vecchi politici dell’NDP di Mubarak e penalizza i candidati indipendenti», al punto che «60 gruppi politici minacciano ora di boicottare le elezioni». Tra questi persino i Fratelli Musulmani, unico grande partito presente ad oggi sulla scena politica egiziana, che pure non aveva appoggiato immediatamente la rivolta di piazza Tahrir. Anzi si diceva in questi mesi che collaborasse con l'esercito in modo da incanalare la protesta, dopo averla cavalcata. Forse l'asse USA-Israele non la pensava allo stesso modo. Oggi al Cairo si è ritornati in piazza per mettere pressione a chi sta gestendo questa transizione. Esattamente come le date delle elezioni sono state fissate pochi giorni fa solo alla minaccia di organizzare nuovi sit-in permanenti in piazza Tahrir. Ma senza una legge elettorale appropriata è possibile che il termine del 29 novembre possa slittare. Una guerra di logoramento. A cui si aggiunge una condizione economica complessiva che va facendosi via via più grave... Al momento attuale, sembra paradossalmente più probabile una svolta democratica in Marocco sotto le riforme di re Mohammed IV che non in Egitto.

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