Facciamo un giochino: apriamo un libro di storia latina del liceo, e scopriamo quanto il sistema politico non sia poi così diverso, nelle sue logiche e strategie, rispetto a quello di duemila anni fa. Forse un po' ambizioso, ma a ben pensarci non temerario. Prendiamo l'emblematica figura di Caio Giulio Cesare, prendiamo la Roma del I secolo d.C., prendiamo la crisi della sua repubblica, prendiamo quello che qui chiamerò il "gioco delle etichette".
C'erano una volta sette re. L'ultimo, un certo "Tarquinio il Superbo", si appropriò del potere con la forza, senza che la sua elezione fosse approvata dal popolo, e sempre con la forza mantenne il controllo della città. Ma dopo l'ennesimo atto di arroganza e prepotenza, l'episodio di Lucrezia, fu cacciato. Iniziò una fase storica di Roma nota come "Repubblica". Due consoli con scadenza di mandato ogni anno, pretori, edili, censori, questori, assemblee popolari e, ovviamente, il Senatus PopulusQue Romanorum: insomma una meraviglia. L'etichetta "Repubblica" aveva in parte un senso. Quand'ecco che un bel giorno, però, iniziò a scricchiolare tutto...
Si andarono gradualmente configurando centri di potere "reale" fuori e lontano dal senato. Causa e conseguenza della complessa crisi politica e istituzionale fu l'affermazione di grandi personalità che, di fatto, concentrarono nelle loro mani un immenso potere, assicurandosi il controllo di tutta l'organizzazione dello stato. Quel che seguì fu un progressivo svuotamento dell'autorità del senato, posto spesso di fronte all'atto compiuto, costretto a prendere atto di accordi stipulati al di fuori della prassi costituzionale. Si pensi al primo triumvirato Pompeo-Crasso-Cesare. Si entrò così nella fase più calda, di un processo che segnò, inesorabile, la fine dei meccanismi istituzionali tipici della res-publica.
E' qui che salta fuori Cesare, e con lui il "gioco delle etichette". Questi consolidò il suo potere personale (già forte per via delle sue vittorie militari) e si accinse a porre le basi di un nuovo assetto istituzionale che facesse capo ad un unico e stabile centro di potere. Ma Cesare non era uno sprovveduto: sapeva a cosa sarebbe andato incontro qualora si fosse proclamato "Rex", usando quindi quel titolo così odiato ai Romani. Ed infatti sta qui la sua "genialata": dopo la vittoria di Farsalo e la morte dell'amico-nemico Pompeo, assunse un potere illimitato simile a quello di un monarca, senza però proclamarsi tale di fatto. "Princeps" si fece invece chiamare. La convergenza verso un modello costituzionale monarchico in cui le cariche tradizionali venivano concentrate in un'unica persona era stato attuato, ma allo stesso tempo le apparenze erano salve. Il giochetto delle etichette di Cesare aveva funzionato. Ed il processo tramite cui si passò da repubblica ad impero si rivelò storicamente irreversibile per Roma.
Sorgono spontanee associazioni a cascata. L'intero Novecento può essere visto come serie di eventi "Ancient-Rome-Style". Mussolini in versione Tarquinio il Superbo, democrazia post-ventennio nei panni di una res-publica più o meno funzionante e la p2 come aspirante forza restauratrice che fallisce tuttavia direttamente il colpo. Poco importa perchè ci riproverà negli anni avvenire con discreti successi un affezionato affiliato: l'aspirante neo-caio-giulio-cesarista Silvio Berlusconi (tessera n°1816). Con il suo modello di "dittatura light" (per usare un termine luttazziano) al quale si è adeguata con buona pace di tutti l'intera classe politica italiana. Una democrazia sempre più ai limiti della sua legittimità; sempre più imbrigliata in un sistema di informazione monopolistico, che spala incontrastata kili di propaganda con capillarità. Una dittatura moderna di tipo mediatico.
Ironie della sorte, proprio ieri sul sito del Corriere è comparsa una lunga intervista a Massimo D'Alema. Folgorato da un titolo raramente così accattivante ("Politica, crisi come negli anni '90") sono andato a leggere con scrupolosità. Mi sono illuso per un momento che il "Baffo" avesse detto qualcosa di intelligente. Con bradipiana velocità rispetto al tempo trascorso in questo stato di cose, ma che ci fosse riuscito. Mi sono illuso. Non ce l'ha fatta ad andare oltre a un: «Se è vero che il governo non gode di altissima fiducia è anche vero che se si chiedesse alla gente se vuole il governo Berlusconi, la risposta sarebbe "no". Alla scarsa fiducia verso di noi non corrisponde una forte fiducia verso di lui. Per questo io non credo che il governo sia a rischio, perché non c’è un’alternativa». Il resto, le solite inutilità da politicucolo. Anzi, da aspirante Ottaviano Augusto.
3 commenti:
Bello il parallelismo!
Marco, buon giorno, trovo interessante il tuo post. Aggiungo due parole, per fare un pezzo di strada con te. Non penso che questa nostra situazione storico-politica sia di natura 'cesaristica' - per usare la formula di Max Weber. Cioè non penso che ci siano due forze equivalenti in situazione di stallo e che questo favorisca e richieda l'azione di un Cesare. Direi che siamo in presenza di una situazione storico-politica di 'crisi organica' - per usare la formula di Antonio Gramsci. Cioè tutta una civiltà muore (lentamente) e il nuovo stenta a nascere. I Dalema, i Berlusconi, eccetera, non portano il nuovo, e non sono Principi. Pasquale
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Vero che c'è il decadimento e la "crisi organica". La stessa vissuta dal Senato nell'antica Roma. E' una falsità affermare che vi fossero due forze equivalenti perchè a ben guardare populares e optimates erano stessa solfa. La dimostrazione è che Cesare era aristocraticissimo ma faceva parte dei populares. Non volevo dire questo ovviamente. Sposo in pieno la "crisi organica". Però i Berlusconi, i Fini, ecc. se ci pensi proposero un referendum per cercar di modificare la costituzione. Più potere al presidente del consiglio e repubblica di tipo presidenziale stile USA. Che di fatto li avrebbe portati ad un "nuovo" che assomiglia fortemente al "vecchio". Esattamente come Cesare. In questo senso, principes.
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