
In Grecia sarà l'anno della Feta. Il tradizionale formaggio da insalatona "choriàtiki" friabile e salato ottenuto con latte di pecora (80%), latte di capra, e caglio (20%). Alcuni studi svolti in ambito gastronomico la fanno risalire a 6000 anni fa. Parrebbe persino presente nell'Odissea di Omero, più precisamente nell'episodio di Polifemo, descritto per l'appunto secondo il mito come l'inventore della feta e più generalmente del formaggio. Il figlio del Dio Poseidone infatti si sarebbe accorto, portando ogni giorno il latte delle sue pecore, che dopo qualche giorno questo diventava solido, commestibile, conservabile: formaggio. Nonostante questo, il nome "Feta" (φέτα) ci riguarda più strettamente di quanto si pensi. L'assonanza l'avranno in effetti notata tutti: non è un caso. L'etimologia originariamente riferita al bizantino "Pròsfatos" (πρόσφατος) è stata smontata. L'attuale nome del formaggio, "Feta", è invece di provenienza italiana, assimilabile al XVII secolo: "fetta". Probabilmente per un analogia con quei tipi di formaggi che venivano tagliati a fette per essere più facilmente trasportabili in casse e botti. La prova del nove è data dal dialetto ellenofono di Cipro, in cui il termine riferentesi al formaggio è tuttora "Fetta". La doppia "T" non è caduta.
Trovata pubblicitaria a parte, il caso della Feta merita un focus tutto suo per le conseguenze "diplomatiche" ed "economiche" che potrebbe avere. L'attuale consumo interno è di circa 100.000 tonnellate l'anno, quello estero di appena 40.000/50.000 tonnellate. Il ministero dell'agricoltura non nasconde l'ambizione: «L'obiettivo è promuovere la produzione all'estero e aumentare in modo considerevole la sua quota nel formaggio bianco», che è complessivamente 700.000 tonnellate. Se non fosse che...

La possibilità del danno economico è reale, dal momento che la Grecia si è fatta un po' di nemici in Europa da quando, definitivamente nel 2005, ha ottenuto il diritto esclusivo di produrre la "Feta", con tanto di denominazione controllata. Germania e Danimarca per esempio, i cui ricorsi per la produzione di "Feta-locale" sono stati respinti dall'UE, potrebbero riversarsi nell'importazione di Sirene, con la benedizione di Sofia. La Bulgaria, di rimando, potrebbe finalmente far conoscere il suo prodotto all'estero e guadagnare quella notorietà internazionale che le è sempre mancata in ambito di mercato caseario. E magari concedere anche licenza alla produzione locale. Un bell'affare.
Nel bel mezzo del patetico caos che viene sollevato dalle grandi dispute economiche, (questo caso è uno tra i più chiari esempi che si potessero fare), non è stata considerata la terza possibilità: e se Roma, al termine del parapiglia, decidesse di far ricorso all'UE per il nome, "Feta", di provenienza italiana? Ahi, ahi...
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